الأربعاء، 5 أغسطس 2015

In Olanda l'economia va alla grande e le richieste d'asilo sono in calo. E allora perché gli elettori sono così arrabbiati


Gli olandesi sono in media più ricchi e più felici della maggior parte degli europei. Contrariamente a quanto strillato in campagna elettorale da Geert Wilders, le richieste di asilo da parte di migranti extracomunitari sono in calo: nel gennaio di quest'anno sono state registrate 1.200 richieste in meno rispetto a gennaio 2016. E allora di cosa si lamentano gli olandesi? È una domanda aperta quella che accompagna il voto di oggi in Olanda, un appuntamento che invita a riflettere sulle origini del malcontento, sui paradossi della globalizzazione e sull’incapacità dei dati economici di descrivere a pieno ciò che accade ogni giorno nelle nostre società.

I dati statistici sui migranti e le variabili economiche raccontano una realtà ben diversa da quella che ci si potrebbe aspettare da un elettorato così arrabbiato. Partiamo dai migranti: in un'intervista al Corriere della Sera Dirk ter Steege spiega, a nome dell'Ufficio centrale di statistica, cosa dicono i numeri sulle richieste d'asilo:

Le richieste di asilo presentate da migranti extracomunitari al governo olandese stanno diminuendo di anno in anno, di mese in mese. Gli ultimi dati ufficiali parlano di 2.700 richieste registrate in questo mese di gennaio, 1.200 in meno rispetto al mese di gennaio del 2016. "Non so come vada in altri Paesi ma qui è così: una tendenza in calo già nel 2016 rispetto al 2015, e che ora continua. Si registrano meno richieste di ricongiungimento familiare, e arrivano meno persone che chiedono asilo per la prima volta".
Eppure i sondaggi prevedono buoni risultati per il partito del leader xenofobo e anti-islam Geert Wilders, convinto sostenitore della Nexit, cioè dell'uscita dell'Olanda dall'Unione europea, su cui ha detto di volere un referendum sul modello di quello britannico di giugno 2016. Gli investitori sono rimasti piuttosto fiduciosi durante la campagna elettorale, soprattutto perché è difficile che Wilders ottenga la maggioranza in Parlamento e visto che i principali partiti si sono dichiarati contrari a entrare in un governo di coalizione guidato da lui. Ma l’asprezza della campagna elettorale e le alte percentuali assegnate dai sondaggi al Partito per la Libertà (Pvv) sono lo specchio di un malcontento che sembra aver messo le radici nella società olandese.

Il punto è che, almeno nel caso olandese, spiegare il successo del “populista” Wilders con il refrain della crisi economica e della disoccupazione non funziona. E non funziona per un motivo molto semplice: in Olanda l’economia sta andando alla grande, come spiega un articolo pubblicato dall’Economist con il titolo “Who’s Nexit?”.

Nel 2016 il Pil dell’Olanda è cresciuto del 2%, registrando una performance migliore della media dell’eurozona (1,7%). Una lunga serie di trimestri in positivo hanno determinato una crescita al tasso più veloce mai registrato dal 2007 e una performance migliore rispetto ai Paesi vicini, a iniziare dalla Germania. La disoccupazione è scesa al 6% (la media nella zona euro è al 10%), il rapporto deficit/Pil all’1,4 per cento. Dati che attestano un quadro migliore rispetto all’inizio della crisi: oggi in Olanda lavorano più persone che nel 2007, quando la crisi iniziò ad abbattersi sull’Europa.
Le famiglie sono tornate a spendere, grazie alla ripresa del mercato immobiliare e all’aumento dei salari. Le casse del governo sono solide: quest’anno ci si aspetta il pareggio – o addirittura un surplus – di bilancio e il debito pubblico dovrebbe scendere sotto il 60% del prodotto interno lordo.


Lasciando da parte il Pil, gli olandesi sembrano passarsela bene anche dal punto di vista della felicità. I Paesi Bassi sono infatti al settimo posto nella classifica dei Paesi più felici del mondo redatta nel 2016 dalle Nazioni Unite (l'Italia, tanto per intenderci, è al cinquantesimo posto).

La domanda è: se l’economia va così bene e il livello di "benessere soggettivo" è alto, perché gli olandesi sono così arrabbiati?

Marieke Blom, capo economista della banca ING, attribuisce queste previsioni positive alle dure riforme approvate dal governo nel corso degli ultimi anni, in particolare l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni (dal 2021) e la riforma del finanziamento del sistema sanitario. Anni di riforme, austerità e recessione, insomma, stanno presentando il conto. Un fatto di cui è consapevole anche il ministro delle Finanze Jeroen Dijsselbloem, che ha riconosciuto come, malgrado le previsioni positive, “molti dei nostri elettori abbiano affrontato tempi davvero duri”. Il primo ministro Mark Rutte – che governa il Paese dal 2010 e corre per un altro mandato – ha messo al centro della sua campagna i buoni risultati economici, senza tuttavia riuscire a convincere le fasce più povere della popolazione, che sono quelle più duramente colpite dall’austerità e dai tagli alle spese e più incerte per quanto riguarda il futuro.

Anche un report di Deutsche Bank lega il ritmo dell’economia olandese alla necessità di proseguire su riforme importanti in materia di pensioni, mercato del lavoro e mercato immobiliare. L’istituto tedesco vede all’orizzonte “un ciclo virtuoso tra politiche monetarie e fiscali più espansive che rende il credito maggiormente disponibili per l’economia reale” e “segni di un nascente recupero dell’export”. A costo, però, di mettere in campo ulteriori riforme.

Il capitolo più spinoso è quello delle pensioni. Dal primo gennaio di quest’anno gli olandesi potranno andare in pensione solo a 65 anni e 9 mesi e l’età pensionabile salirà progressivamente fino ad arrivare a 67 anni nel 2021. Il malcontento cresce in questo contesto ed è in questa cornice che Pvv, socialisti e 50+ hanno promesso di riportare l’età pensionabile a 65 anni.

L'economia olandese non sorride solamente di luce propria. L'Olanda, infatti, è un Paese attraente per chi vuole fare impresa e avere un fisco iperconveniente: come in Lussemburgo è possibile concordare un trattamento fiscale speciale direttamente con il ministero delle Finanze senza che la politica possa mettere becco. In cosa si avvantaggiano le aziende che decidono di avere o trasferire la propria sede fiscale in Olanda? La parola magica si chiama royalties. Attraverso un meccanismo ben confezionato, le royalties in Olanda non sono tassate e i giganti della tecnologia, ma non solo, possono avvantaggiarsi in termini di profitti. Basta creare una controllante olandese, a cui la società madre paga royalties apparentamente gonfiate: in questo modo i profitti a bilancio diminuiscono e anche le tasse da pagare sul fatturato nel Paese d'origine.

Un dato su tutti mette quanto il paradiso fiscale olandese sia in grando di generare appeal: 80 tra le 100 aziende più grandi del mondo e quasi metà delle 500 compagnie della classifica di Fortune hanno una società di riferimento con sede ad Amsterdam. Sede fiscale perché il regime olandese è molto permissivo e permette quindi alle imprese di sborsare meno soldi in termini di tasse. L'economista olandese David Hollanders dà un po' di numeri significativi su quelle che vengono definite nulla di più che cassette delle lettere: nella capitale olandese 12mila società generano un controvalore fiscale di 4 miliardi di euro. Non esiste Paese al mondo ad avere un valore societario così elevato.

Il caso dell’Olanda incarna bene la complessità della globalizzazione, con tutti i suoi paradossi. Il Paese è diventato ricco, nel corso della storia, veleggiando per mari e commerciando con il mondo, e per molti versi – sottolinea l’Economist - è ancora l’economia più aperta del mondo: oggi è il quinto Paese per esportazioni; un terzo del suo Pil deriva dall’esportazione di merci e servizi. Pochi altri Stati hanno così tanto da perdere da un mondo in cui i ponti levatoi vengono tirati su e le navi fatte restare nei porti.

Eppure Geert Wilders e la sua crociata pro-Nexit continuano a riscuotere consensi. Secondo il leader sindacale Niek Stam, gli scaricatori del porto di Rotterdam voteranno in massa per lui non perché sono razzisti, ma perché temono di essere rimpiazzati dai robot e di andare in pensione sempre più tardi. “Alcuni pensano che dovremmo fare come gli inglesi con la Brexit, visto che la globalizzazione provoca anche danni”.

 settimanale economico prende il porto di Rotterdam come luogo simbolo di questa contraddizione:

È proprio un posto come Rotterdam, la porta olandese d’Europa, che pagherebbe il prezzo più alto da un’eventuale ritirata della globalizzazione. Negli ultimi vent’anni il ri-export olandese (computer che arrivano dalla Cina e vengono spediti, ad esempio, in Germania) ha quadruplicato il suo valore 
Secondo le agenzie di rating, l’Olanda (assieme a Belgio, Irlanda e Malta) è tra i Paesi più esposti agli effetti della Brexit. Dopo la Germania, la Gran Bretagna è il secondo mercato più grande per le esportazioni olandesi. Circa l’80% dei fiori e il 70% delle piante importate dai britannici arriva dai Paesi Bassi. Molto preoccupata è anche la lobby della pesca, che ha un enorme bisogno di accedere alle acque britanniche: arriva da lì il 60% del pesce olandese, incluso il 90% della loro amatissima aringa. L’export agricolo e alimentare verso la Gran Bretagna è stato di 8,9 miliardi di euro solo lo scorso anno.
Secondo l’Agenzia olandese di analisi della politica economica, una “hard Brexit” (in cui il commercio con il Regno Unito è governato solo dalle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio) costerebbe all’economia olandese una quota di Pil compresa tra l’1,2 e il 2% entro il 2030. A questo bisogna aggiungere le minacce che arrivano dall’America, da cui dipendono il 3,4% del Pil olandese e 300mila posti di lavoro.
Secondo Wim Boonstra, economista di Rabobank, per l’Olanda lasciare l’Ue avrebbe un impatto molto più forte rispetto alla Brexit per i britannici: “Siamo il secondo Paese al mondo in fatto di esportazioni di prodotti agricoli. Senza il libero scambio affogheremmo nel latte e nel formaggio”.


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